_25A8836_preview.jpg
9 dicembre 2024 | di Stefan Joss | Foto: Dominic Steinmann

«La cultura dell’errore è indispensabile»

Chi si occupa di sicurezza e prevenzione non trova quasi mai il tempo di riflettere sul proprio ruolo. Abbiamo chiesto a tre professionisti della sicurezza quali strategie adottano per comunicare con dipendenti e dirigenti. Leggete qui la seconda parte della tavola rotonda.

Indice

      La tavola rotonda si è tenuta a metà settembre 2024 e vi hanno partecipato:

      La giornata lavorativa tipo


      Cosa fate in una normalissima giornata lavorativa?

      Beat: Di solito le mie giornate iniziano alle sei. In questo periodo sto analizzando i pericoli di tutti i nostri impianti di ghiaia e calcestruzzo per la certificazione ISO. Quindi sono spesso in ufficio, davanti al computer. Ma mi prendo anche la libertà di andare nei cantieri. In queste occasioni cerco il dialogo con il personale.

      Gitte: Generalmente le mie giornate iniziano tra le sette e le sette e mezza. E si concludono piuttosto tardi. Visto che alla SR Technics si lavora a turni, rimango anche fino alle cinque o alle cinque e mezza per essere presente per il personale di entrambi i turni. Il mio lavoro cambia di settimana in settimana. Attualmente ci dà qualche grattacapo un capannone appena ristrutturato all’interno del quale ci sono forti correnti d’aria. Stiamo cercando delle soluzioni.

      Natascha: La mia giornata lavorativa è molto varia e inizia tra le otto e le otto e mezza. Mi occupo dell’omologazione dei prodotti chimici utilizzati nei nostri laboratori e gestisco le scorte. Sono inoltre attiva nella sanità aziendale che rientra nell’organizzazione in caso di emergenza. In questo ambito organizzo regolarmente campagne, ad esempio esercitazioni antincendio. Da poco effettuo autonomamente anche analisi di infortuni. Naturalmente a questi compiti si aggiungono le mansioni di base della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, come consegnare dispositivi di protezione individuale, mettere a disposizione cuscini ergonomici o effettuare audit e controlli.

      _25A9677_preview.jpg
      _25A9456_preview.jpg

      Gitte Björn, SR Technics

      «Alla SR Technics si lavora a turni, quindi la sera mi trattengo in azienda per essere presente per il personale di entrambi i turni»

      Comunicazione


      Come sensibilizzate il personale sui temi di vostra competenza?

      Gitte: Un’addetta o un addetto alla sicurezza (AdSic) deve essere visibile, per cui sono spesso in giro per l’azienda. Sono molto fiera del fatto che le persone si rivolgano a me in caso di dubbi o domande. Per loro il tempo lo trovo sempre, anche se sono sotto pressione. Ogni anno realizziamo fino a tre campagne, spesso combinate con un give away. Per la campagna sull’alimentazione sana abbiamo distribuito una lunch box, per quella sull’ergonomia una fascia elastica. Questi piccoli omaggi facilitano il contatto con il personale. Durante i penultimi mondiali di calcio ho organizzato un concorso: un determinato giorno, tutte e tutti potevano venire al lavoro con la maglia della loro squadra del cuore. Il CEO di allora si è presentato con una maglia dell’FC Sion. Ovvio, è vallesano. Questa iniziativa ha avuto parecchio successo. Naturalmente il concorso era dedicato alla sicurezza: «Nel mondo del calcio è iniziata la corsa per il titolo di campione del mondo, la SR Technics lancia invece quella per il titolo di campione del mondo della sicurezza» Per partecipare bisognava presentare la foto di un pericolo individuato nel perimetro aziendale. Anche i premi sono stati molto apprezzati: una maglia ufficiale del proprio calciatore preferito per ciascuna delle tre persone vincitrici.

      Beat: Nei cantieri è difficile che le persone cerchino il contatto con me. Quindi tocca a me essere proattivo. Se in una calda giornata estiva l’AdSic si presenta su un cantiere con dei gelati, il contatto è immediato. Si tratta di un momento piacevole e il personale è più propenso a parlare delle proprie preoccupazioni. A monte deve però esserci un rapporto di fiducia: i dipendenti devono conoscermi e sapere che possono sottopormi le loro richieste. Se non c’è fiducia non funziona.

      Natascha: È importante richiamare l’attenzione sui pericoli presenti in laboratorio con un approccio da pari a pari, meglio se con un esempio concreto. Non è compito mio spiegare alle persone come devono fare il loro lavoro, lo sanno già. Piuttosto devo sensibilizzarle sui pericoli a cui sono esposte sul lavoro e consigliarle di conseguenza.


      E invece, come sensibilizzate la direzione sulla sicurezza?

      Beat: Ogni giovedì al Volken Group organizziamo una riunione di coordinamento lavori alla quale partecipano una parte della direzione, tutti i capodivisione e i capi cantiere. Il primo punto all’ordine del giorno è la sicurezza. Questo mi permette di sentire contemporaneamente il parere anche dei quadri medi e superiori.

      Natascha: All’IBM viene effettuato un controllo almeno due volte all’anno. Al di là dei rapporti esterni, attribuiamo molta importanza al benessere delle collaboratrici e dei collaboratori, motivo per cui non devo mai lottare con la direzione per introdurre misure di prevenzione. Al massimo devo ricordarle l’importanza di questo tema.

      Gitte: Ogni due settimane ho un appuntamento fisso con il CEO. Inoltre tutti i manager e tutti i capi team vengono da me per seguire una formazione sulla sicurezza della durata di tre giorni durante la quale affronto un tema fondamentale, ovvero quello della responsabilità: la direzione può delegare la responsabilità per la sicurezza a un AdSic, ma è sempre lei a dover renderne conto, a prescindere dagli eventi. Questa consapevolezza ha innescato qualcosa a livello di direzione. Occorre quindi adeguare la comunicazione. Al CEO cerco ad esempio di spiegare le possibili ripercussioni delle nostre azioni sulla reputazione dell’azienda, ma anche le possibili conseguenze giuridiche che possono consistere in processi penali o addirittura civili. Mentre il CFO, lo convinco discutendo delle possibili multe e calcolando per lui diversi indicatori finanziari.


      _25A9226_preview.jpg
      Quali sono le vostre esperienze con i capi team?

      Natascha: I capi team devono informarci quando in un laboratorio inizia a lavorare una nuova collaboratrice o un nuovo collaboratore. Se non lo fanno, non possiamo organizzare l’addestramento di questa persona. Per svolgere pienamente il nostro ruolo dobbiamo poter contare sulla collaborazione di numerose persone. La soluzione per evitare conflitti è molto semplice: HR ci informa direttamente in merito alle nuove assunzioni, e se nei primi giorni una persona non partecipa all’addestramento o alla formazione online, le blocchiamo il badge. Per quanto possa sembrare intransigente, questa strategia ha un effetto positivo, visto che i capi team scelgono l’opzione più veloce che è anche quella più sicura.

      Gitte: Per quanto riguarda il livello intermedio ci sono diversi aspetti da considerare: molti capi team vogliono fare carriera, per cui potrebbero essere tentati di pretendere troppo dalle collaboratrici e dai collaboratori o di accettare più incarichi di quanti il team sia in grado di sostenere. Con il rischio che alcune fasi di lavoro vengano tralasciate. A ciò si aggiunge un secondo problema: a volte le persone promosse da poco a manager vogliono rimanere buoni colleghi per il loro team. Un nuovo capo che chiede ad esempio a una persona di mettere gli occhiali di protezione potrebbe sentirsi rispondere: «Dici sul serio? Anche tu non li indossavi quasi mai». Queste situazioni delicate vengono discusse con i capi team in occasione di training di conduzione.

      Beat: Nei cantieri il capo team generalmente è il capo muratore. Ha obiettivi ambiziosi e lavora spesso sotto pressione, visto che deve ultimare i cantieri nel rispetto dei termini. A volte sento di capi muratori che danno più «libertà d’azione» agli operai per rispettare le tempistiche, pur sapendo che la sicurezza potrebbe risentirne. Per questo li integro nel mio piano di formazione: ogni mese trattiamo un tema specifico, quello attuale è l’etichettatura delle sostanze pericolose. I capi muratori devono istruire le loro squadre e consegnarmi un documento che riporti la firma di tutte le persone che hanno seguito la formazione. Quando vado nei cantieri chiedo in modo mirato agli operai di indicarmi i simboli di pericolo per assicurarmi che abbiano acquisito le conoscenze necessarie.

      Gitte: Da noi queste formazioni si chiamano Toolbox Talk.


      Che cosa si intende per Toolbox-Talk?

      Gitte: Sono momenti di scambio dedicati a un tema specifico, ad esempio l’uso in sicurezza delle scale portatili. Il nostro team prepara una relazione che i capi team dovranno presentare davanti ai loro collaboratori e alle loro collaboratrici. Possono delegare il compito a un’altra persona, purché abbia un legame diretto con il tema trattato. Può trattarsi ad esempio di un dipendente che è caduto da una scala portatile. Dopo la relazione, le persone presenti devono confermare per scritto di averne capito i contenuti. La documentazione relativa ai Toolbox Talk è archiviata in una biblioteca su Intranet. Anche le collaboratrici e i collaboratori possono scrivere un Toolbox Talk, indipendentemente dal loro livello gerarchico. Se ritengo che sia valido e utile, lo archivio nella biblioteca dove può essere utilizzato per scopi di formazione. L’idea piace, tanto che oggi si fa a gara tra chi riuscirà a fare inserire il suo Toolbox Talk nella biblioteca.


      Ce l’hanno fatta in molti?

      Gitte: Sì, sono piuttosto generosa. Mi rendo conto che i responsabili più giovani sono stimolati dall’idea di non registrare nessun infortunio nel proprio team. Più i quadri dirigenti sono giovani, più è facile coinvolgerli. Incontro più reticenza tra quelli della mia generazione.


      Fav_25A9723_preview.jpg
      Scegliere le parole giuste è importante. Quali usate spesso e quali, invece, evitate?

      Gitte: Il termine «soluzione» va sempre bene. Preferisco dire «abbiamo trovato una soluzione» piuttosto che «abbiamo un problema». Un altro termine che funziona a livello di comunicazione è «insieme». Invece non uso la parola «sbagliato».

      Beat: Nei cantieri si è molto diretti. Spesso mi avvalgo di esempi che fanno leva sulle emozioni, per indurre le persone a riflettere. Dico ad esempio: «Pensa alla tua famiglia. Immagina di perdere la vista perché il materiale che stavi usando oggi era dannoso per gli occhi e tu non hai indossato gli occhiali di protezione». Queste frasi aiutano a comprendere meglio che, quando si parla di sicurezza sul lavoro, non si tratta semplicemente di seguire regole imposte da capi o addetti alla sicurezza, ma si tratta invece di tutelare la propria salute e quella delle persone care.

      Natascha: Adeguo il mio modo di comunicare ai differenti gruppi target, come ad esempio direzione, partner esterni o ricercatori. A seconda degli interlocutori utilizzo termini tecnici e spiego le cose nell’uno o nell’altro modo affinché risultino comprensibili e le persone adottino un comportamento adeguato. Tra specialisti della sicurezza sul lavoro non usiamo mai la parola «colpa»; attribuire colpe è tabù. I fattori che concorrono a un infortunio sono sempre molteplici: insicurezza, mancanza di informazioni, contesto generale. In altre parole, un infortunio non è quasi mai imputabile a una sola persona.

      _25A9425_preview.jpg

      Natascha Schoch

      «Tra specialisti della sicurezza sul lavoro non usiamo mai la parola «colpa»; attribuire colpe è tabù»

      Risorse

      Gli AdSic sono responsabili per la sicurezza. Molti di loro assumono questo compito da soli e svolgono un lavoro al 100 per cento. Come siete riusciti a ottenere risorse per la sicurezza sul lavoro?

      Natascha: Il nostro team non si occupa solo di sicurezza sul lavoro e protezione della salute, ma anche di tutela ambientale e gestione dei prodotti chimici. I compiti sono molto diversificati e richiedono parecchie risorse di personale. Questo ci dà una certa flessibilità, visto che possiamo utilizzare le risorse in funzione dei bisogni.

      Gitte: Grazie alle formazioni che ho seguito sono in grado di calcolare i costi con una certa precisione. Quando mi vede entrare nel suo ufficio, il CFO mette le mani avanti e mi dice: «No, non ho soldi». Allora gli spiego cifre alla mano quali sarebbero le conseguenze in termini di costi se non adottassimo una certa misura di sicurezza. L’ho fatto per i protettori auricolari: in un ambiente rumoroso, oltre alle cuffie antirumore il personale doveva usare tappi per le orecchie, una combinazione poco ideale. Oltretutto le cuffie isolano. In queste condizioni non si può escludere che i dipendenti non si proteggano a sufficienza. Ho calcolato i costi che insorgerebbero se un collaboratore soffrisse di acufeni perché non si è protetto adeguatamente. Un caso come questo comporta generalmente un’assenza di sei settimane: 30 giorni lavorativi da 800 franchi danno un totale di 24 000 franchi. Con questo importo possiamo acquistare protettori auricolari su misura per l’intera azienda.


      E tu, Beat?

      Beat: Qual era la domanda? Ero così preso che ciò che spiegava Gitte che l’ho dimenticata.


      Volentieri: come sei riuscito a ottenere risorse per la sicurezza sul lavoro?

      Beat: Sì, giusto. La direttiva CFSL 6508 disciplina il ricorso agli specialisti della sicurezza sul lavoro. Da noi il minimo legale in base al tasso di premio netto dell’assicurazione contro gli infortuni professionali è di due posti a tempo pieno. Quindi siamo in due per garantire la sicurezza.

      _25A9368_preview.jpg

      Beat Eggimann, Volken Group

      «Dopo un infortunio voglio sapere cosa è accaduto per trarne insegnamenti utili per il futuro.»

      Cultura dell’errore e acquisizione di informazioni

      _25A9766_preview.jpg
      Nelle vostre aziende si possono commettere errori e si può parlarne?

      Beat: Nei cantieri è difficile. Quando capita, molti continuano a lavorare sperando che non se ne accorga nessuno. In caso di infortunio, dopo aver ricevuto le cure del caso la persona deve venire subito da me. Voglio sapere cosa è accaduto per trarne insegnamenti utili per il futuro.

      Gitte: La legge esige che, nel settore dell’aviazione, si parli degli errori; è la cosiddetta «just culture». Diciamo al personale: «Se commettete un errore, è sempre meglio parlarne.» Immaginate come vi sentireste se, a causa di un errore di assemblaggio del motore, un aereo precipitasse.

      Natascha: Alla IBM quando si verifica un evento rilevante per la sicurezza chiamiamo le persone coinvolte e ci accertiamo che stiano tutte bene. In seguito ne parliamo insieme per capire cosa è successo e cosa è andato storto dal punto di vista delle persone direttamente interessate. Coinvolgiamo anche coloro che a prima vista non c’entrano nulla con l’accaduto e così possono raccogliere preziose informazioni.


      Alla IBM si perde la faccia se si commette un errore?

      Natscha: Da quando lavoro qui non ho mai visto che a qualcuno sia stato rinfacciato un errore. Dobbiamo far fronte a molti pericoli. È quindi importante poterne parlare in modo trasparente. Lo stesso vale per gli errori. Se mi rivolgo alle collaboratrici e ai collaboratori con calma e senza attribuire colpe, sono sempre disposti a comunicare.


      Il vostro compito richiede un ampio bagaglio di conoscenze. Come le acquisite?

      Beat: Una volta al mese mi trovo a pranzo con AdSic di altre aziende del Vallese. Questi incontri sono sempre molto utili, discutiamo di temi d’attualità e delle sfide che stiamo affrontando. Inoltre faccio parecchie ricerche online per rimanere aggiornato e fungere da «Google» per i colleghi interni (come menzionato nella prima parte della tavola rotonda). Ovviamente leggo molto, ad esempio i manuali d’uso delle macchine, per garantire che nei cantieri vengano adottate le giuste misure di sicurezza.

      Gitte: Tanto tempo fa ho seguito un corso della CFSL. Ancora oggi, mi trovo una volta all’anno con le persone che vi hanno partecipato. Spesso quando sono in difficoltà chiedo loro consiglio via mail. Inoltre l’agenzia Suva di Zurigo ci offre un ottimo supporto: ogni due mesi organizza una call per addetti alla sicurezza. Infine partecipo regolarmente a eventi dedicati alla sicurezza e leggo articoli specializzati.

      Natascha: Ho imparato molto durante la formazione seguita alla Suva, ad esempio su come applicare leggi, ordinanze o direttive. Acquisire conoscenze specialistiche è alla portata di tutti. Da parte mia sono particolarmente ricettiva alle esperienze di altri AdSic, alle loro spiegazioni su come hanno affrontato un problema, su come lo hanno risolto e su cosa eventualmente non è andato bene. Anche se ogni persona, azienda e caso sono unici, si può imparare molto dalle esperienze di altre aziende in settori differenti e capire cosa può essere d’aiuto sia in ottica generale che concretamente nella sicurezza sul lavoro.

      Avete già letto la prima parte?

      Nella prima parte della tavola rotonda abbiamo chiesto a Gitte, Natascha e Beat che ruolo svolgono nella propria azienda, cosa apprezzano del loro lavoro e se non si lasciano mai prendere dallo sconforto.

      Continuate la lettura

      Questa pagina è stata utile?