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9 dicembre 2024 | di Stefan Joss | Foto: Dominic Steinmann

Vivere per la sicurezza

Chi si occupa di sicurezza e prevenzione non trova quasi mai il tempo di riflettere sul proprio ruolo. Abbiamo chiesto a tre professionisti della sicurezza cosa apprezzano del loro lavoro e se non si lasciano mai prendere dallo sconforto. Leggete qui la prima parte della tavola rotonda.

Indice

      La tavola rotonda si è tenuta a metà settembre 2024 e vi hanno partecipato:

      Ruoli in azienda


      Oggi parleremo anche del ruolo che svolgete nella vostra azienda. Vi siete definiti primi interlocutori, fornitori di servizi, Google, soccorritori, rompiscatole e realizzatori. Quale di questi ruoli vi si addice di più?

      Natascha: Quello di prima interlocutrice. È ciò che dobbiamo essere per il personale. 

      Beat: Direi Google perché ho una risposta alla maggior parte delle domande che mi vengono poste. Mi vedo anche come fornitore di servizi e realizzatore.

      Gitte: Je suis à l’aise partout.


      Anche quello di rompiscatole?

      Gitte: Soprattutto quello, ve lo può confermare il mio CEO.


      Nessuno vuole fare il poliziotto. Perché?

      Gitte: Perché la polizia cerca i colpevoli. Come addetta o addetto alla sicurezza (AdSic) impari, fin dai primi accertamenti dopo un infortunio, che devi trovare soluzioni per evitare gli infortuni, non cercare colpevoli. 

      Natascha: Quello del poliziotto è in contraddizione con gli altri ruoli. Nessuno va dalla polizia e dice: «Ho sbagliato. Cosa mi consigliate?». Noi siamo interlocutori di fiducia.


      In quale ruolo vi calate quando dite STOP?

      Beat: Chiaramente in quello di soccorriore. Dicendo STOP contribuisco all’incolumità delle collaboratrici e dei collaboratori. Non vado nei cantieri per fare la voce grossa. Chiedo piuttosto perché una persona compie una determinata azione in un certo modo per capire e cercare di aiutarla. 

      Gitte: Il fatto di dire «STOP, scendi da questa scala che è rotta» permette di capire le cause dei comportamenti sbagliati. Spesso le persone vogliono semplicemente servire al meglio la propria azienda. Pensano: «Se mi sbrigo a fare anche questo finiamo prima». Nessuno, quando arriva in azienda al mattino, dice: «Oggi voglio rompermi una gamba».


      Manca un ruolo che vi permetterebbe di avere un impatto ancora maggiore?

      Natascha: No. Ho il privilegio di lavorare per un’azienda in cui la direzione tiene in grande considerazione il nostro parere. Con il nostro know-how possiamo contribuire a prevenire infortuni e malattie e, di riflesso, a tutelare la reputazione dell’azienda.

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      Gitte Björn, SR Technics

      «Fin dall’inizio capisci che non devi cercare colpevoli, ma trovare soluzioni per evitare gli infortuni»

      Un ampio spettro di competenze


      Avete scritto quali competenze deve avere un AdSic: franchezza, empatia, competenze specialistiche, disponibilità all’apprendimento, spirito di apertura, talento organizzativo, risolutezza, capacità di pensare in modo strutturato, ispirare fiducia, dare il buon esempio e ascoltare. Perché proprio queste?

      Beat: Senza competenze specialistiche non sarei in grado di valutare se le persone lavorano in modo sicuro e quali soluzioni si potrebbero adottare.

      Natascha: Secondo me è fondamentale la risolutezza. Non credo che potrei tornare al lavoro se una persona si infortunasse solo perché non me la sono sentita di ricordarle le regole e le istruzioni di sicurezza. Anche la disponibilità all’apprendimento è importante: quando mi ha assunta a soli 21 anni, il mio capo aveva intuito questa mia competenza. Se non ce l’hai non è il lavoro giusto per te, perché le regole cambiano ogni anno. Le macchine nuove comportano anche nuovi pericoli.

      Gitte: Lavoro con 59 culture differenti, ognuna è un po’ diversa. L’empatia mi aiuta a capire quali sono le preoccupazioni. Se spiffero qualcosa che mi è stato detto in confidenza, rompo il rapporto di fiducia. E nessuno si rivolgerà più a me.

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      In Svizzera esiste una persona che possiede tutte queste competenze?

      Gitte: Alcune le abbiamo di nostro, altre possiamo acquisirle. Un buon AdSic, ad esempio, è empatico di natura. Non è una competenza che si può acquisire seguendo un corso della Suva a Lucerna.

      Natascha: La sicurezza sul lavoro non è un ambito professionale che attira le masse. Spesso gli AdSic sono stati coinvolti in prima persona in un infortunio e vogliono impegnarsi attivamente per la sicurezza. Quindi sì, è vero, portano con sé un grande bagaglio di esperienze.

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      Beat Eggimann, Volken Group

      «Dicendo STOP contribuisco all’incolumità delle collaboratrici e dei collaboratori»

      I lati negativi

      Vi è già capitato di dire: «Basta, getto la spugna»?

      Gitte: Mi suona familiare!

      Beat: Mi infastidisco quando vedo che l’operaio a cui avevo chiesto di indossare il casco, cinque minuti dopo lo ha già tolto.

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      Quali sono le vostre strategie per non capitolare?

      Beat: Per me la sicurezza è una passione, vivo per la sicurezza e non mi arrendo facilmente. Per ricentrarmi, più volte all’anno, prendo una settimana di ferie e mi dedico alla mia seconda passione, le immersioni.

      Gitte: Un toccasana, sott’acqua non parla nessuno.

      Beat: Proprio così. Al rientro riesco a gestire meglio le situazioni critiche. Nel caso dell’operaio senza casco abbiamo organizzato una riunione con lui, il capodivisione e il servizio del personale. Gli abbiamo anche notificato un avvertimento scritto. Non mi piace farlo, ma in questo caso è servito, visto che l’uso del casco è aumentato in modo significativo nei cantieri.

      Natascha: Faccio questo lavoro da soli due anni e, contrariamente a voi, non ho dovuto affrontare molti momenti difficili. Nei laboratori mi capita occasionalmente di dover riprendere persone che hanno «dimenticato» di indossare il camice. La mia strategia in queste situazioni è pensare ai feedback positivi, a qualcuno ad esempio che mi ha detto: «Ti ringrazio per essermi stata vicina dopo l’infortunio». O alla direzione che, dopo un audit importante, ci ringrazia e mostra di apprezzare il sostegno che le abbiamo fornito mettendo in campo le nostre competenze.

      Gitte: Io ritrovo l’equilibrio nel tempo libero. Quando sul lavoro capita un infortunio o qualcuno ha problemi di salute, ci sto male. Mi chiedo se ho sbagliato qualcosa o se avrei potuto fare di più. In queste situazioni cerco di parlare con una persona vicina, le spiego come mi sento, cosa provo. Mi aiuta moltissimo.

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      Natascha Schoch, IBM Research

      «Il mio compagno ride ogni volta che, quando esco con lui e vedo un defibrillatore, controllo la data per assicurarmi che sia funzionante»

      I lati positivi


      Cosa vi fa capire che apportate valore aggiunto?

      Natascha: Quando ho iniziato a lavorare per IBM, molti dipendenti si rivolgevano esclusivamente ai miei colleghi uomini per le questioni riguardanti la sicurezza. Ero nuova, la più giovane del team, avevo poca esperienza. Ed ero finita nel mondo della ricerca, un bastione maschile. Ma penso di essere riuscita ad affermarmi, nel mio piccolo, tanto che oggi sono la prima persona di contatto per le collaboratrici dell’azienda. Ne vado molto fiera.

      Beat: La gratitudine. In un nostro cantiere il livello di rumore è costantemente elevato. La direzione ha approvato in tempi brevissimi la mia richiesta di fornire a tutto il personale protettori auricolari su misura. Il modo in cui le collaboratrici e i collaboratori mi hanno ringraziato, dal profondo del cuore, mi ha commosso.

      Gitte: Quando i dipendenti si rendono conto che c’è un rischio di infortunio e mi chiedono di aiutarli a trovare una soluzione. Un altro indicatore è il calo degli infortuni e delle assenze.


      Vi chiedo di completare questa frase: «Non ci sarà più bisogno di me quando...»

      Natascha: ...non lavorerà più nessuno.

      Gitte: ...tutti la penseranno come noi AdSic.

      Beat: Non credo che capiterà mai.

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      Beat Eggimann, Volken Group

      «Voglio evitare che altri vivano quel che è successo a me quando avevo 18 anni»

      Fare il pieno di energia


      Che cosa vi dà forza?

      Gitte: Indubbiamente il dialogo con le persone. Esco dal mio ufficio e cerco il contatto con la gente. Ogni tanto qualcuno viene da me e mi ringrazia. In queste situazioni mi capita di pensare tra me e me: «Davvero ho fatto tutto questo? Non mi sembrava».

      Natascha: Forse è una questione di generazione, non lo so. In ogni caso per me è così: alla fine dell’apprendistato mi sono ripromessa che non avrei mai lavorato in un’azienda in cui non mi fossi trovata bene. Questo non significa che devo fare salti di gioia quando vado in ufficio al mattino. Ma rimango solo se sono soddisfatta e felice. Attualmente è il caso.


      E cosa vi aiuta nei giorni no?

      Natascha: Esco durante la pausa pranzo, vado in un parco e penso a tutto ciò che mi rende felice. Respiro, cerco di staccare la spina e poi torno al lavoro.

      Beat: A 18 anni sono rimasto coinvolto in un incidente mortale e sono stato accusato di omicidio colposo. Fortunatamente il tribunale ha confermato la mia innocenza. Questa esperienza drammatica mi ha spinto a fare il possibile per evitare che altre persone vivano situazioni analoghe. Ne traggo ancora oggi una grande motivazione.

      Natascha: Soprattutto nei casi in cui si poteva evitare. Nella vita alcune situazioni sono inevitabili. Ma si può fare qualcosa per prevenirne molte altre.

      Beat: Sì, in molti modi: le possibilità per proteggere le persone non mancano.


      Vi avvalete di queste storie a forte risonanza emotiva nella comunicazione interna?

      Natascha: Con ponderazione, visto che il confine tra rappresentazione della realtà e propaganda di paura è molto labile. La paura favorisce gli infortuni.

      Gitte: Sono d’accordo, anche se a volte mi servo di queste storie. Mi capita ad esempio di chiedere: «Vuoi davvero trovarti nella situazione di dover andare a casa di qualcuno per annunciare che il marito o il compagno non tornerà più?»

      Beat: Non lo faccio per spaventare le persone, ma per mostrare che ci preoccupiamo per loro, che non vogliamo che subiscano esperienze traumatiche.

      Natascha: Nella nostra categoria professionale abbiamo comunque una visione del mondo un po’ diversa. Il mio compagno mi prende in giro ogni volta che, quando esco con lui a Zurigo e vedo un defibrillatore, controllo la data per assicurarmi che sia funzionante. O quando in vacanza mi infastidisco perché l’estintore non è al posto giusto.

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      Natascha Schoch, IBM Research

      «Spesso gli AdSic sono stati coinvolti in prima persona in un infortunio e vogliono impegnarsi attivamente per la sicurezza»

      Un desiderio...

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      Tra poco è Natale. Avete un desiderio per la sicurezza nella vostra azienda?

      Natascha: Soddisfare gli elevati requisiti in materia di reporting è molto impegnativo. Ogni tanto vorrei potermi focalizzare di più sulla sicurezza e sui miei compiti primari e avere un po’ meno a che fare con la burocrazia internazionale.

      Beat: Vorrei disporre di un budget per poter attuare determinate misure in tempi più brevi.

      Gitte: Mi piacerebbe che le collaboratrici e i collaboratori avessero più cura della propria salute.

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      Nella seconda parte della tavola rotonda, Gitte, Natascha e Beat spiegano quali strategie di comunicazione adottano in funzione del target e se nella loro azienda si possono commettere errori.

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