Dalla «prevenzione degli infortuni» alla «sicurezza sul lavoro»
È il passaggio fra questi due concetti a segnare il punto di svolta. All'inizio, fare prevenzione significava prevenire un infortunio come evento, grazie a dispositivi tecnici di protezione e buoni consigli. Dopo la Seconda guerra mondiale, la prospettiva è cambiata: dall'approccio negativo si è passati a una cultura della sicurezza positiva, incentrata sulla promozione della sicurezza piuttosto che sulla prevenzione degli infortuni, puntando alla sensibilizzazione e all'organizzazione sistematica di processi e procedure.
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««Il compito principale e più importante nonché gratificante» della Suva è la prevenzione degli infortuni,»
scrisse Otto Keller, vicepresidente del Consiglio di amministrazione, nel suo documento celebrativo «25 anni Suva!» del 1946, ammonendo: «E penso che siamo solo all'inizio».
In effetti: dopo la Seconda guerra mondiale, la Suva era «praticamente ritornata al punto in cui si trovava al momento della sua fondazione», scriveva nel 2004 nella sua tesi di abilitazione Martin Lengwiler, professore di storia all'Università di Basilea (tesi pubblicata nel 2006 in forma di libro con il titolo «Risikopolitik im Sozialstaat»). Che cosa era successo?
Un istituto di assicurazione, non di pena
Sin dall'inizio, la prevenzione degli infortuni ha rappresentato per la Suva un settore di attività delicato. Naturalmente la Suva prese in carico il mandato conferitole dalla legge e istituzionalizzò la prevenzione in una propria divisione, agendo tuttavia soprattutto come istituto di assicurazione, non di prevenzione e di certo non come istituto di pena. Infatti, utilizzò molto poco le possibilità di sanzione previste dalla legge quali aumenti di premio, rifiuto di prestazioni, denunce penali.
Uno dei motivi principali di questa condotta fu il rapporto teso con i titolari delle imprese, che si lamentavano anzitutto del regime dei premi della Suva. Controlli, obblighi e direttive degli ispettori che visitavano stabilimenti e cantieri venivano vissuti come un'ingerenza e gli stessi ispettori vennero più volte criticati, definendoli
««brontoloni incapaci, … che sperperano i nostri contributi».»
In quanto autorità che esercitava pubblici poteri (possibilità di visionare le liste dei salari, accesso ad ambienti di lavoro, potere di disporre e impartire direttive), la Suva era nota anche come «polizia istituzionale».
Tecnica contro tecnica
Così il servizio di prevenzione infortuni dell'istituto di assicurazione rimase confinato nella sua modesta cornice; nel 1919 contava 4 dipendenti, nel 1927 erano 27 (su un totale di 574 dipendenti) e la sua attività si limitava alla prevenzione degli infortuni sul piano tecnico. Era lo spirito dei tempi, combattere la tecnica con la tecnica, almeno in Europa. In Gran Bretagna e negli USA, dove non vi erano modelli di enti pubblici per l'assicurazione infortuni, si puntava in modo decisamente più massiccio sulla responsabilità diretta delle imprese e sulle regole di comportamento.
Nella divisione prevenzione della Suva lavoravano soprattutto ingegneri e tecnici. Nel 1920 venne allestito un ufficio costruzioni per progettare dispositivi di protezione, il quale cominciò a realizzare anche prototipi a partire dal 1929, la cui produzione in serie venne affidata a privati. Si faticava però a prendere piede nelle imprese. Così, nel 1923 la Suva assunse direttamente dei montatori e nel 1926 anche alcuni istruttori.
La resistenza nei confronti dei dispositivi di protezione era grande nelle aziende. Gli imprenditori temevano di dimezzare il rendimento, così dicevano, mentre i lavoratori si rifiutavano di indossare gli occhiali di protezione, che secondo loro erano solo d’impiccio.
Apprezzamento dall'estero
I riconoscimenti per i suoi dispositivi di protezione arrivarono dall'estero. Nel 1925 uno di questi dispositivi, destinato a proteggere le dita durante il lavoro con presse e stampi, fu premiato con una medaglia d'oro in occasione di una fiera in Francia. Nel 1931 i Paesi Bassi decisero di adottare dalla Svizzera alcuni dispositivi da utilizzare con le macchine per la lavorazione del legno.
I rivestimenti per le macchine dedicate alla lavorazione del legno e dei metalli costituirono una prima tappa fondamentale dell'attività di progettazione svolta a Lucerna. I rivestimenti servivano a proteggere da trapani, fogli abrasivi, lame di sega. La Suva sviluppò anche degli occhiali di protezione, prescritti molto presto per lavorare con le smerigliatrici. Nel complesso, però, i dispositivi riguardavano solo poche aziende
Focus sulla prevenzione tecnica
Con la crisi economica degli anni Trenta, l'interesse degli imprenditori per la prevenzione degli infortuni scese ai minimi termini. Contemporaneamente, in materia di prevenzione vennero alla luce richieste di altro tipo. Nel 1937, nella sua relazione conclusiva, una commissione di esperti del Consiglio federale invitò la Suva a dedicarsi anche alla «prevenzione degli infortuni sul piano psicologico», a intervenire presso gli imprenditori e i lavoratori per spiegare e convincere.
Sulla stessa linea si posero l'Unione centrale delle associazioni imprenditoriali svizzere e l'Unione svizzera delle arti e mestieri. Nel 1937, in una lettera indirizzata alla Suva, scrivevano:
««Oltre all'informazione sui supporti tecnici e alla messa a disposizione di tali mezzi, ci aspettiamo in questo ambito che la direzione dell'istituto continui a promuovere la necessità della prevenzione degli infortuni come pure a sostenere attivamente titolari d'impresa e rappresentanti che s'impegnano a favore dell'adozione di provvedimenti adeguati sul piano organizzativo e psicologico nelle aziende».»
Della «prevenzione infortuni sul piano psicologico», la Suva non era molto convinta. Nel 1926, nel suo rapporto di gestione, aveva addirittura ironizzato su una campagna condotta in Germania che, attraverso dei manifesti, cercava di sensibilizzare sulla prevenzione degli infortuni. Su due immagini venivano mostrati gli aspetti «giusto» e «sbagliato» relativi all'affissione di manifesti nelle baracche di cantiere.
Una delle immagini mostrava i lavoratori interessati ai manifesti di prevenzione infortuni e recava la scritta «Giusto». Sull'altra i manifesti non venivano considerati perché coperti da abiti appesi e la scritta era «Sbagliato». La Suva aveva commentato in modo sarcastico: «Sotto la figura a destra sarebbe più giusto scrivere: 'I manifesti sono stati appena appesi' e sotto l'immagine di sinistra: 'I manifesti sono appesi da una settimana'»
Immagine shock e ammonimenti
La Suva stessa era riluttante all'idea di ricorrere a manifesti e appelli. E quando si rivolgeva ai lavoratori, era per metterli in guardia contro potenziali pericoli. Dei primi vent'anni di vita della Suva restano due soli manifesti con messaggi per immagini. Uno è un'acquaforte di Emil Cardinaux che mostra una famiglia in lutto nella sua casa. L'immagine riporta la seguente scritta: «L'imprudenza porta infelicità in casa».
L'altro manifesto mostra l'immagine shock di una lavoratrice tessile senza cuoio capelluto per contestualizzare le «Conseguenze evidenti del mancato rispetto della norma» – come recita il testo – e continua: «I capelli sciolti della lavoratrice si sono incastrati negli organi di trasmissione e sono stati parzialmente strappati dalla calotta cranica insieme al cuoio capelluto. I capelli non ricresceranno più».
Anche dopo gli interventi della commissione di esperti e delle organizzazioni dei datori di lavoro, Max Helfenstein, responsabile della Divisione prevenzione infortuni dal 1918 al 1945, continuò a mostrarsi riluttante. «Si cerca con tutte le possibili motivazioni di far passare la prevenzione degli infortuni come una questione legata alla prudenza del lavoratore», scriveva nel 1940. «Perché non si abbandona questa immagine? È un mezzo comodo per scaricare la responsabilità degli infortuni sui lavoratori da parte dei datori di lavoro e degli organi di vigilanza». Manifesti, filmati e «concorsi per un tasso minimo di infortuni» secondo lui erano controproducenti.
La Suva agisce sugli imprenditori
L'obbligo riguardava molto più gli imprenditori. E su questi la Suva agì, anche con successo, come venne dimostrato. Se è vero che l'istituto rinunciò ampiamente a misure sanzionatorie o azioni penali, bastò la minaccia di aumenti di premio a mantenere l'attenzione alta tra gli imprenditori.
Sebbene nei primi anni, con i suoi dispositivi di protezione, la Suva si rivolgesse a una ristretta cerchia di imprese e la sua «prevenzione degli infortuni sul piano psicologico» non andasse oltre una serie di simboli, il suo lavoro riscosse comunque un certo successo. In primo luogo raccolse dati ed esperienze che in seguito servirono da base per le statistiche. In secondo luogo, con i suoi appelli, fece leva presso importanti aziende sugli obblighi in materia di responsabilità degli imprenditori. Brown, Boveri & Cie. a Baden e Gebrüder Sulzer AG a Winterthur iniziarono a creare divisioni interne dedicate alla prevenzione degli infortuni.
«Qualcosa di ormai inadeguato»
Ma né i provvedimenti tecnici né gli appelli ebbero qualche effetto sulla frequenza degli infortuni. Dal 1918 al 1945 tale frequenza seguì l'andamento dello sviluppo economico, aumentando dal 1927 al 1930 del 10 per cento, scendendo durante la crisi economica degli anni Trenta del 20 per cento per poi risalire del 30 per cento dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Nell'economia bellica, la prevenzione degli infortuni aveva assunto un ruolo secondario, fatto che avvertì anche la Suva. Troppi lavoratori erano stati chiamati alle armi e così la Suva sciolse la sua Divisione prevenzione infortuni. Nel 1940 Ulrich Oertli, direttore della Suva, disse:
««Al momento attuale, dove tutto è impegnato per la distruzione e la brutalità, la prevenzione degli infortuni è qualcosa di ormai inadeguato». Nel 1945 la Suva era «praticamente ritornata al punto in cui si trovava al momento della sua fondazione».»
Cambio di mentalità post-bellico
La prevenzione degli infortuni ebbe uno slancio con il boom economico che seguì la Seconda guerra mondiale. Ora poteva anche essere ripagata l'opera di avvicinamento e collaborazione con le grandi imprese e le associazioni professionali. Negli anni 1946 e 1947 la Suva riuscì a siglare alleanze con l'associazione dei fabbricanti svizzeri di macchine per la lavorazione del legno e con quella dei rivenditori svizzeri di macchine e utensili. L'obiettivo era quello di eliminare le fonti di pericolo già in fase di costruzione delle macchine. Era l'inizio di un nuovo modo di pensare.
Il momento culminante della collaborazione con l'economia privata fu la cosiddetta «scarpa Suva». Non si trattava di un'invenzione della Suva bensì di un articolo delle giacenze belliche dell’esercito americano, acquistato già nel 1947 dalla Gebrüder Sulzer AG e venduto agli operai nelle fonderie.
In una collaborazione con l'industria calzaturiera, la Suva continuò a sviluppare questa scarpa e negli anni Sessanta la scarpa con puntale in acciaio era disponibile in oltre 60 modelli nonché «in molteplici, piacevoli forme e fatture». Diventò addirittura una scarpa di tendenza del panorama alternativo dell'epoca. I lavoratori indossavano la «scarpa Suva» soprattutto sui cantieri, dove il numero di lesioni al piede diminuì del 20 per cento in cinque anni.
Professionalizzazione della prevenzione infortuni
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Suva si impegnò a professionalizzare e intensificare il suo lavoro di prevenzione. Nella fase di congiuntura favorevole fino al 1970, il numero delle aziende assicurate aumentò del 70 per cento circa fino a superare quota 75 000 mentre i controlli aziendali operati dalla Suva e le direttive sulle misure di prevenzione infortuni triplicarono. Nel 1945 il budget annuale della Suva per la prevenzione infortuni si limitava a 500 000 franchi, nel 1970 era arrivato a 6,7 milioni.
Alla fine degli anni Cinquanta, la Suva iniziò anche ad analizzare le statistiche e i verbali d'infortunio per individuare le fonti di pericolo e negli anni Sessanta passò a vere e proprie analisi di sistema. Si trattava di un nuovo approccio nei confronti della prevenzione. Fino a quel momento si era cercato di modificare la macchina oppure l'uomo, ora per evitare gli infortuni si doveva intervenire con un approccio sistemico su procedure, processi e feedback.
«Sezione informazioni e spiegazioni»
Nel 1952 la Suva conferì una veste professionale anche alle sue pubbliche relazioni, creando un servizio informazioni originariamente denominato «Sezione informazioni e spiegazioni», il quale organizzava conferenze, inviava comunicati stampa e partecipò anche alla fondazione del periodico «Schweizerische Blätter für Arbeitssicherheit», pubblicato dalla Suva a partire dal 1956.
Responsabile del riorientamento dell'attività di prevenzione della Suva era il nuovo direttore della Divisione prevenzione infortuni, Stanislas Nicolet. Nel 1956, Nicolet intraprese un viaggio di studio di diverse settimane negli USA per visitare aziende, istituti di ricerca e il National Safety Council, riportando in Svizzera le idee del movimento cosiddetto «Safety First», affermatosi negli USA sin dal 19° secolo. Il movimento puntava sulla prevenzione degli infortuni dal punto di vista psicologico, cioè sullo spiegare e mettere l’accento su una mentalità di sicurezza, non dell'infortunio, come pure sulla formazione di addetti alla sicurezza nelle imprese. Successivamente, la Suva iniziò a proporre corsi per gli «addetti alla sicurezza» e per gli «ingegneri della sicurezza».
Ironia e umorismo prendono il posto della paura
Anche il modo di affrontare i temi della prevenzione infortuni cambiò, rinunciando alle immagini shock in favore di messaggi positivi. In un'intervista alla «Illustrierte Zeitschrift für Arbeitsschutz», il grafico della Suva disse: «Non dobbiamo mostrare infortuni se non vogliamo infortuni».
Nella stessa rivista, già nel 1957 si affermava: «L'umorismo scioglie le tensioni, libera, rallegra, riconcilia». Ironia e umorismo erano gli strumenti positivi della nuova strategia di prevenzione, la chiave per portare la cultura della sicurezza tra i lavoratori e per radicarla nella società.
Tracce di sessismo
La Suva aveva anche dei punti deboli. Nel 1988 pubblicò un calendario per le baracche da cantiere che promuoveva il comportamento sicuro da adottare sulle scale.
Il rapporto di gestione del 1988 riportava che il calendario mostrava «sei pagine formato grande sulle quali un'attraente ragazza mostra in maniera umoristica delle situazioni tipiche di comportamento corretto sulla scala». Peccato che la giovane e graziosa donna fosse «poco vestita», come riportò la rivista «Nebelspalter».
In questo modo, le immagini non solo richiamarono l'attenzione finendo su un'importante testata scandalistica, ma irruppero anche sulla scena politica. Angeline Fankhauser, consigliera federale PS del Cantone Basilea Campagna, definì il calendario «misogino» e «sessista», presentando un'interrogazione ordinaria al Consiglio federale. Nella sua risposta, il Governo tergiversò, ma ammise che, in buona fede, ci si poteva chiedere se le immagini fossero un mezzo adeguato per rappresentare lo scopo previsto o non evocassero piuttosto nei destinatari associazioni estranee, che non avevano nulla a che fare con il programma di sicurezza dedicato alle scale.
Formulazioni che ancora una volta chiamarono in causa il «Nebelspalter»: le proteste improntate alla morale non avevano considerato che la pubblicità può anche partire da uno stimolo (estraneo al messaggio) per il pubblico destinatario. «Le associazioni funzionano così al contrario: dalla cosa estranea alla cosa» commentò la rivista satirica. «È la ricetta ricorrente anche della gran parte dei discorsi retorici e celebrativi».
Quasi dimezzata la frequenza degli infortuni
Giunti a quel punto, la sicurezza sul lavoro era ormai un concetto acquisito per le persone. Nel periodo dal 1945 al 1975 la frequenza infortunistica (numero di infortuni rispetto al numero di occupati a tempo pieno) in Svizzera si era quasi dimezzata: un successo al quale ha contribuito la politica di prevenzione della Suva, poiché il cambiamento strutturale dell'economia – via dalla società industriale – è cominciato solo dopo la recessione degli anni 1973-1975.
Sul versante politico l'istituzionalizzazione della prevenzione degli infortuni e della sicurezza sul lavoro ha incontrato maggiori resistenze. Molto presto la Suva aveva fatto pressione per avere una base giuridica vincolante che obbligasse i fabbricanti a realizzare macchinari sicuri. Nel 1963 accolse dunque con soddisfazione la Convenzione concernente la sicurezza delle macchine conclusa a Ginevra dall'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che però venne ratificata dalla Svizzera solo nel 1992.
Così come si risolse in un nulla di fatto l'intervento della Suva a favore di un «istituto della sicurezza svizzero». Nel 1965 la Suva si presentò al Consiglio federale per proporre «un coordinamento e una collaborazione» nazionali nel settore della prevenzione degli infortuni. Già allora si sapeva che: «Alcuni uffici vegliano gelosamente per non consentire alcuna intromissione nelle loro competenze; in alcuni uffici si dà priorità a interessi corporativi e considerazioni concorrenziali rispetto al concetto di prevenzione infortuni; se mai si decide di dirottare fondi sulla prevenzione infortuni, lo si fa comunque in modo decisamente riluttante». Alla fine il progetto fallì, principalmente per le resistenze delle associazioni di trasporto, che si schierarono contro gli obblighi finanziari nella prevenzione.
Il concetto di coordinamento nazionale venne accolto in seno al progetto di revisione della legge federale sull'assicurazione contro gli infortuni. Nel messaggio del 1976, il Consiglio federale propose di istituire una commissione federale di coordinamento per la prevenzione di infortuni e malattie professionali. Nel 1984, con l'entrata in vigore della nuova Legge federale sull'assicurazione contro gli infortuni, nacque la Commissione federale di coordinamento per la sicurezza sul lavoro (CFSL).
Immagine iniziale: Protezione delle dita ideata dalla Suva per le presse eccentriche. Foto degli anni Quaranta.